Sono 45 mila gli addetti che dall’inizio della pandemia lavorano in smart working dal Sud per le grandi imprese del centro-nord. Questi i primi risultati di una indagine sul southworking, realizzata da Datamining per conto della SVIMEZ su 150 grandi imprese, con oltre 250 addetti, che operano nelle diverse aree del Centro Nord nei settori manifatturiero e dei servizi. Sono i dati del Rapporto Svimez 2020, presentato martedì 24 novembre. Una cifra quella dei 45mila lavoratori che equivale a 100 treni Alta Velocità riempiti esclusivamente da quanti tornano dal Centro Nord al Sud. Il dato potrebbe essere solo la punta di un iceberg.
Se teniamo conto anche delle pmi e medie (oltre 10 addetti), si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100 mila lavoratori meridionali. Sono circa due milioni gli occupati meridionali che lavorano nel Centro- Nord e, considerando le aziende che hanno utilizzato lo smartworking nei primi tre trimestri del 2020, circa il 3% ha visto i propri dipendenti lavorare in southworking. Il Rapporto SVIMEZ propone l’identificazione di un target dei potenziali beneficiari di misure per il south working. Occorre concentrare gli interventi sull’obiettivo di riportare al Sud giovani laureati (25-34enni) meridionali occupati al Centro-Nord. La platea di giovani potenzialmente interessati ammonterebbe a circa 60 mila giovani laureati.
Il rapporto è stato realizzato con l’associazione South Working Lavorare dal Sud secondo cui l’85% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud se fosse loro consentito, e se fosse possibile mantenere il lavoro da remoto. Da questa ricerca, condotta su un campione di 2mila lavoratori, emerge che circa l’80% ha tra i 25 e i 40 anni, possiede elevati titoli di studio, principalmente in Ingegneria, Economia e Giurisprudenza, e ha nel 63% dei casi, un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
La ricerca Svimez analizza anche i vantaggi che le imprese e i lavoratori oggetto dell’indagine hanno riscontrato nella sperimentazione di esperienze di southworking e le politiche che sarebbero necessarie per la diffusione di tali esperienze. La maggior parte delle aziende intervistate ritiene che i vantaggi principali del southworking siano la maggiore flessibilità negli orari di lavoro e la riduzione dei costi fissi delle sedi fisiche.
Ma, allo stesso tempo, crede che gli svantaggi maggiori siano la perdita di controllo sul dipendente da parte dell’azienda; il necessario investimento da fare a carico dell’azienda; i problemi di sicurezza informatica. Di qui emerge la necessità di adottare alcuni strumenti di policy per venire incontro alle richieste delle aziende, in primis incentivi di natura fiscale o contributiva.